Redazione   16/12/2020

Un incontro che cambia la vita

Arriva il calzolaio alla cappella che c’è alla curva, e guarda, proprio dietro alla cappella c’è qualcosa di bianco ... “Sarà una bestia? ... Somiglia a una persona, ma come mai è bianco? E che ci fa una persona qua?”.

Photo by Jon Tyson on Unsplash

Vi proponiamo oggi un brano tratto da un racconto poco noto di Lev Tolstoj, il grande scrittore russo (autore di capolavori come Guerra e pace, Anna Karenina, Padre Sergij, eccetera).

Il racconto avrà una svolta finale che illumina tutta la vicenda a ritroso… un po’ come avviene per le nostre vite. Ed è per questo che ve lo proponiamo, proprio adesso che il Natale si avvicina: è l’occasione buona per ripensare all’essenziale, a ciò che dà valore all’esistenza.

La storia è molto semplice: si racconta di un calzolaio e di sua moglie, che vivono molto poveramente. Non hanno una casa propria, né un campo proprio, vivono solo del lavoro da calzolaio di Sëmen e possiedono una vecchia pelliccia spelacchiata per proteggersi dal freddo invernale. Il racconto comincia in autunno inoltrato, quando il calzolaio decide di comprare una nuova pelliccia: va in paese, ma non può acquistarla perché non ha soldi sufficienti; allora tutto triste riprende la strada del ritorno senza la pelliccia e…


… Arriva il calzolaio alla cappella che c’è alla curva, e guarda, proprio dietro alla cappella c’è qualcosa di bianco. Stava già facendo buio. Ci guarda meglio, il calzolaio, e però non riesce lo stesso a distinguere cos’è. “Sarà una bestia? Ma non somiglia mica a una bestia. Di testa somiglia a una persona, ma come mai è bianco? E che ci fa una persona qua?”.

Si avvicinò e lo vide bene. Che cosa strana: era proprio una persona, non si capiva se viva o morta, era uno che se ne stava lì tutto nudo, appoggiato alla cappella, e non si muoveva. Ebbe paura il calzolaio; pensò: “Qua qualcuno ha ammazzato una persona, l’ha spogliata e l’ha buttata lì. Se mi avvicino, poi va a finire che non me ne tiro più fuori”.

E passò oltre, il calzolaio. Si lasciò alle spalle la cappella, e non la vide più quella persona. Passò oltre la cappella; si voltò e vide che l’uomo si era scostato dalla cappella, si muoveva, pareva quasi che lo guardasse. Si spaventò ancora di più, il calzolaio; e pensa: “Vado lì o proseguo? Se ci vado, magari va a finire male: chi lo sa chi è quello lì? Non è mica per qualche cosa di buono che è andato a finire lì, no? Io mi avvicino e lui magari salta su e mi strozza, e non gli scappi più. E anche se non mi strozza, come te la sbrighi con uno così? Che ci fai, tutto nudo com’è? Mica posso togliermi io i vestiti e dargli le ultime cose che ho. Macché, mi scampi Iddio e via svelto!”.

E il calzolaio affrettò il passo. Stava già lasciandosi dietro la cappella, ma la coscienza gli rimordeva.

E si fermò, il calzolaio, in mezzo alla strada. “Ma Sëmen, che stai facendo?”, dice a sé stesso. “Lì c’è uno che muore nella disgrazia, e tu ti sei spaventato e te ne vai per la tua strada. Cos’è, sei diventato troppo ricco? Hai paura che ti portino via tutte le tue ricchezze? Ah, Sëmen, non è bene far così”.

Sëmen si voltò e andò da quella persona.

Sëmen si avvicina all’uomo, lo guarda bene e vede: è un uomo giovane, in forze, non ha segni di botte sul corpo, solo che si vede bene che è tutto intirizzito e spaventato; se ne sta lì appoggiato e non guarda verso Sëmen, come se fosse talmente debole da non riuscire nemmeno ad alzare gli occhi. Gli si fece vicino, Sëmen, e a un tratto, come se si fosse ripreso, l’uomo alzò la testa, aprì gli occhi, e guardò Sëmen. E da quello sguardo quell’uomo piacque a Sëmen. Allora gettò a terra i valenki, si tolse la sua cintura di stoffa, gettò la cintura sui valenki, si tolse il caffettano.

“Basta star qua a pensare!”, dice. “Vèstiti, no? Dai, forza!”.

Prese l’uomo di sotto il gomito, provò a farlo alzare. E l’uomo si alzò. E vede, Sëmen, che il corpo ce l’ha fine, pulito, le mani e i piedi non sono sgraffiati, e il volto è bello. Sëmen gli gettò il caffettano sulle spalle, ma l’uomo non riusciva a infilare le maniche. Sëmen gli guidò le braccia, gliele infilò, abbottonò il caffettano e gli legò ben stretta la cintola.

Sëmen si tolse il suo berretto lacero, voleva metterlo in testa all’uomo nudo, ma sentì freddo alla testa, e pensa: “Io ce l’ho tutta calva la testa, e lui invece ha capelli ricci e lunghi”. Se lo rimise. “Meglio che gli metta gli stivali”. Lo fece sedere e gli infilò gli stivaloni di feltro. Lo calzò, il calzolaio, e poi dice: “Ecco qua, fratello. Dai, sgranchisciti un po’ e scaldati. E gli affari li sbrigheranno anche senza di noi, eh? A camminare ci riesci?”.

Sta lì in piedi, l’uomo, e guarda con tenerezza Sëmen, ma a parlare non ci riesce.

“Eh, ma perché non parli? Mica dobbiamo passare l’inverno qua. Bisogna andare a casa. Su, forza, ecco qua il mio bastone, appoggiatici se non riesci a star su. Sai, muovi le gambe!”. E l’uomo camminò. E camminava agile, non restava indietro.

Vanno lungo la strada, e dice Sëmen: “Tu, insomma, di chi sei?”.

“Non sono di qua”.

“Be’, quelli di qua li conosco, io. E com’è che sei finito qua alla cappella?”.

“Non posso dirlo”.

“Ti avrà fatto del male qualcuno, eh?”.

“Nessuno mi ha fatto del male. È stato Dio che mi ha punito”.

“Ah, questo si sa, è sempre Dio che fa tutto. Però da qualche parte bisogna pure andare, no? E tu dov’è che devi andare?”.

“Per me fa lo stesso”.

Si stupì, Sëmen. A vederlo, non sembrava uno di quelli che fanno a botte, e parlava dolce, però non diceva niente di chi era e da dove veniva. E pensò Sëmen: “Mah, ne capitano tante di cose”, e dice all’uomo:

“Allora andiamo a casa mia, così almeno te ne vieni via di lì, pian pianino, eh?”.

E cammina, Sëmen, e il pellegrino non gli rimane indietro, cammina accanto a lui. Si levò il vento, fece venire i brividi a Sëmen sotto la camicia, e cominciò a passargli l’ubriacatura, e cominciava a sentir freddo. E così cammina, tira su con il naso, si tiene stretta sul petto la sua giubbetta da donna e pensa: “Eccotela la pelliccia, sono andato a prendere la pelliccia, e torno a casa senza caffettano e per di più porto dietro un tizio nudo. Ah, non mi loderà certo, Matrëna!”. E non appena pensava a Matrëna, si sentiva triste. Ma poi, appena si volgeva verso il pellegrino, e si ricordava di come lui l’aveva guardato là vicino alla cappella, subito gli si ravvivava il cuore.

L. Tolstoj, Cosa fa vivere gli uomini (1885).


Per approfondire:
- L. Tolstoj, Cosa fa vivere gli uomini, Marcovalerio Editore, Cercenasco 2019.
- L. Tolstoj, Tutti i racconti, Mondadori, Milano 2000.

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