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Guardare un Fontana vuol dire per l’osservatore deporre le armi del bello e del brutto e chiedersi: “Che cosa dice a me che lo osservo?”. Proviamo a concedere del tempo a questo quadro e scopriamo cosa ha da dirci.
Lo stesso Fontana, bersaglio di scherni, scrive in una lettera:
Caro Mario, o sono un santo o sono un pazzo!!! Ma forse sono un santo, ho sopportato troppe angherie che a quest’ora dovrei essere in manicomio, invece queste Attese [il quadro che stiamo osservando è uno di questi] mi danno la pace! (Lettera datata 21 febbraio 1959, Milano).
Su una tela di colore verde sono stati fatti quattro tagli, ci sono quattro ferite. Da questi tagli riusciamo a percepire il gesto di Fontana che con un rasoio incide la tela. È un gesto brutale e allo stesso tempo capace di aprire una nuova prospettiva all’arte.
Guardando un Fontana vediamo le nostre ferite, quelle che la vita ci ha dato e che tagliano la tela dell’animo. Forse anche per questo Fontana parla di serenità, questi tagli appartengono a ogni persona, ci rendono solidali verso gli altri.
Scrive ancora Fontana:
I miei tagli … sono un atto di fede nell’infinito, un’affermazione di spiritualità. Quando mi siedo davanti a uno dei miei tagli, a contemplarlo, provo d’improvviso una grande distensione dello spirito … mi sento un uomo che appartiene alla vastità del presente e del futuro (Vanità, 1962).
Fontana chiama queste opere Concetti spaziali, Attese. Cosa ci fa venire in mente questo titolo? Cosa ha a che fare una tela con lo spazio? E con l’attesa? Una tela è bidimensionale, ma di solito ciò che viene rappresentato su di essa cerca di essere a tre dimensioni. Finge uno spazio. Fontana con il suo taglio “rompe” le due dimensioni della tela facendo irrompere ciò che è “oltre”, dietro, facendo passare lo spazio.
Anche attendere qualcuno è struggente, crea tensione come un taglio.
Proprio la ferita più grande e profonda della tela è trasfigurata da una pennellata d’oro. La ferita non scompare, ma può guarire. Nei giorni difficili tornerà a sanguinare, ma dove la ferita brucia nascerà una nuova pelle.
Peter Bouteneff, nel libro la cui copertina presenta questa immagine, propone una comprensione equilibrata e non colpevolizzante della nostra condizione di peccatori, delle nostre ferite, unita all’esperienza dell’incontro con l’amore di Dio. Un passaggio essenziale nella nostra maturazione umana e cristiana. Come scrive anche Fontana nei suoi scritti, il lavoro su di sé porterà in noi frutti di pace. Questo se avremo accolto in noi l’infinita misericordia di Dio, che passa proprio attraverso le nostre fratture. Poiché c’è una crepa in ogni cosa, ed è di lì che entra la luce.