Quando parlo di carne, non voglio in alcun modo contrapporla a un altro tipo di realtà, dell’ambito spirituale. Con la parola “carne” intendo la totalità dell’essere.
L’unità indissociabile di tutto ciò che ci costituisce viventi e unici: corpo, spirito, anima, intelligenza, sensibilità, istinto, memoria, eredità molteplici, desiderio, storia, parola, tutto ciò che permette di essere al mondo e di dire: “Io esisto”.
I nostri antenati più remoti, non appena hanno cominciato a reggersi in piedi, si sono posti le nostre stesse domande. Già allora stavano in posizione eretta e interrogavano il cielo, le loro mani erano libere, di abbracciare e di fare violenza, di levarsi in preghiera e di creare…
Da alcuni milioni di anni gli interrogativi che occupano la testa degli umani sono gli stessi: dove stiamo andando? Chi cerchiamo? A chi rivolgiamo preghiere? Dov’è Dio? Chi è veramente? La ricerca e il grido dell’essere umano rimangono quelli di sempre, così come la sua inquietudine nell’accostarsi a Dio, vederlo e toccarlo. Allora egli lo confina in templi, o case, o tabernacoli, per rassicurare se stesso, tenerlo sotto controllo, stare tranquillo. Eppure Dio è anche – forse è soprattutto – altrove, in un roveto, in un deserto, nello spirare trattenuto di una brezza leggera, sul bordo di un pozzo… là dove non lo cerchiamo, là dove forse non vorremmo trovarlo, nella nostra carne, nel punto più debole della nostra carne.
Siamo perennemente alla ricerca di colui che può farci vivere. Siamo in questo desiderio di vita piena. Passiamo il tempo a cercare altri uomini o altre donne che finalmente possano corrispondere alle nostre aspettative.
Tutti incontri, se veri, che ci servono e ci conducono più lontano. Approfondiscono ancora di più la nostra sete, allentano un po’ la tensione causata dal nostro desiderio. Ci sono indispensabili, ma la nostra vita non dipende da questo. La nostra vita non può nutrirsi semplicemente di quella di un altro o di un’altra.
Chi mi farà da padre? Chi potrà salvarmi alla fin fine? Chi mi risparmierà la fatica di venire ad attingere l’acqua fresca nella calura del giorno? Chi accoglierà il mio pianto? Chi mi farà nascere di nuovo e nutrirà la mia esistenza? Chi mi porterà perché io possa attraversare la vita? Chi mi rialzerà?
Quello che sovente trattiamo come un nemico, il nostro corpo, è destinato alla gloria. Non bastava l’incarnazione di Dio: bisognava che fosse sfigurato, che risorgesse, e non solo, ci voleva l’ascensione di Gesù per confermare questa dignità straordinaria della nostra carne che da quel momento può sedere alla destra di Dio.
Tratto da: J.-P. B. Olivier, Non avere paura del corpo (2018).