Gli autori del Nuovo Testamento, fatta eccezione per quello dell’Apocalisse, mostrano scarso interesse per il mondo delle stelle. Una sola stella brilla in modo particolare nel firmamento degli evangelisti, vale a dire quella che, secondo Matteo, guida i magi verso il bambino di Betlemme. Altrimenti le stelle sono menzionate solamente due volte nei vangeli, e in modo generico, in stretto rapporto con gli sconvolgimenti cosmici che accompagnano gli eventi della fine. In compenso, il cielo descritto da Giovanni nella sua Apocalisse è più popolato di stelle, e la simbolica vi è più diversificata. I due settenari dedicati ai flagelli (cc. 6, 8 e 9) annunciano la caduta sulla terra di un terzo delle stelle, nel succedersi di un certo numero di fenomeni cosmici fatidici. Tra quelle stelle, due si rivelano particolarmente pericolose. La prima “si chiama Assenzio” (8,11), mentre la seconda viene spedita fin nell’abisso, rifugio delle potenze demoniache ostili al genere umano.
Al contrario di ciò che avviene sul piano fisico, propriamente astronomico, la dimensione simbolica che Giovanni attribuisce alle stelle è sempre posta sotto il segno della speranza. Giovanni del resto ci rende il servizio di avvertirci del carattere simbolico delle sue stelle. Per le sette stelle che Cristo tiene nella sua mano destra, Giovanni parla in fatti di un “mistero” (1,20), che si affretta subito a chiarire specificando che esse sono, né più né meno, gli angeli delle sette chiese. Stesso genere di avvertimento per la donna dotata di “una corona di dodici stelle” (12,1): Giovanni vi vede addirittura “un segno grandioso”, e tutto ciò che concerne quella donna può intendersi della chiesa, popolo di Dio. Infine Giovanni sviluppa l’intuizione di Matteo con la sua stella di Betlemme. È infatti il solo autore del nt ad attribuire a Gesù il titolo di “stella radiosa del mattino” (22,16).
J.-P. Prevost, Apocalisse: i simboli svelati (2017).