Il racconto di quella che possiamo chiamare annunciazione a Giuseppe, ci narra la fede e l’obbedienza di Giuseppe. Il vangelo sottolinea che la promessa di Dio non si compie senza il consenso di un eletto. E che, d’altra parte, questo assenso pieno del chiamato basta per questa sinergia con Dio. La responsabilità davanti a Dio è sempre solitaria ...
Se l’obbedienza di Maria fu un’accoglienza incondizionata della parola dell’angelo, accoglienza che precedette e rese possibile l’evento, qui Giuseppe incontrò prima l’evento sconvolgente – Maria incinta – e solo dopo, nella notte, la parola dell’angelo ... Giuseppe, appena incontrato l’evento che lo contraddiceva così radicalmente e dolorosamente, subito si mise a leggerlo nei suoi pensieri, a cercare di interpretarlo con la parola di Dio già udita, la Torah, la Legge del Sinai, e poi prese una decisione. La prese da solo, nella solitudine della sua coscienza, sottomettendosi alla pressura della realtà e alla Legge di Dio. Vediamo l’invenzione personale della sua sottomissione, evento sempre inedito per ciascuno, e che ci testimonia cos’è l’esser giusti secondo le Scritture di Israele, il caro prezzo dell’amore. È importante ascoltare il pensare e la decisione di Giuseppe prima che il Signore, nel suo angelo, lo visiti.
Sta scritto:
Giuseppe, che era giusto e non voleva esporre Maria alla vergogna, decise di rimandarla in segreto. Mentre stava pensando a queste cose, ecco apparirgli in sogno l’angelo (Mt 1,19-20).
Ecco un preambolo che qui appare come indispensabile all’accoglienza della rivelazione: pensare, pensare all’evento appena incontrato. Specularmente a Maria che tratteneva nel cuore le parole dell’angelo, Giuseppe medita sull’evento. La visitazione notturna a Giuseppe da parte dell’angelo è stata prontamente riconosciuta e accolta da Giuseppe grazie al suo aver pensato, al suo aver faticato nel pensare la sua responsabilità verso Maria e verso la Legge. Quel pensare con pena lo rendeva vigilante. Il suo pensare è luminoso e capitale per noi, perché il vangelo lo chiama giusto, giusto davanti a Dio e agli uomini. Pensare a ciò che accade è operazione spirituale, è quel predisporre che ci compete per poter ascoltare e riconoscere la parola di Dio ...
Giuseppe sapeva che la Legge di Dio, anche quando ciò non è evidente, difende sempre il diritto dell’altro. Il divieto è sempre per salvare un altro da me. La Legge dà voce all’altro, è il diritto dell’altro a cui siamo sordi, e che per di più spesso rendiamo afono. La Legge di Dio e l’altro sono sacramento l’una dell’altro, reciprocamente. E il vangelo non è che pienezza della Legge, in questo preciso senso.
Dunque Giuseppe adempie la Legge di Dio rinunciando a Maria, e impedendosi di esporla al male della vergogna e di tutto ciò che segue: si sottomette a un tempo alla Legge e alla realtà, senza tradire l’amata, senza ferire l’amore ...
Poi l’angelo visitò il sonno di Giuseppe, e Giuseppe ricevette la rivelazione che lo coinvolgeva così interamente. Egli capì che era un evento di Dio, che il Signore lo coinvolgeva nella sua opera; ricordò e accolse la testimonianza delle Scritture che promettevano il Messia a Davide. E la sua povera verità di discendente di Davide gli si fece luminosa.
Destatosi dal sonno, Giuseppe obbedì alla rivelazione e all’invito dell’angelo, prese con sé Maria, e poi chiamò Gesù quel figlio che riceveva da Dio. Giuseppe, che aveva deciso di sottomettersi a Maria fino a rinunciare a lei e a proteggerla dalla vergogna – solo questo poteva fare il suo grande amore e la sua grande giustizia – ora può accoglierla e proteggerla, lei e il bambino, per comando di Dio, perché Dio ne ha bisogno. E in questa sua amorosa obbedienza si adempie il dono della paternità a Gesù, e a noi il dono del riconoscimento di Gesù come Messia di Israele, figlio di Davide, perché la salvezza viene dai giudei.
Tratto da: Maria dell’Orto (Frattin), La follia del vangelo (2014)