“Doveva perciò attraversare la Samaria”. Così è scritto nel vangelo: era dunque una necessità che spingeva Gesù, una necessità dettata dal di dentro. Era una necessità dettata, potrei dire, dal cuore. Una necessità non geografica, ma di cuore. Questo dirottamento di strade ci rimane come un pungolo nel cuore, perché viene a chiederci se anche noi come Gesù siamo – quasi per una necessità interiore – spinti, irresistibilmente spinti ad andare fuori dai percorsi abituali, ad attraversare territori dello Spirito giudicati spuri, presso pozzi in territori samaritani. Per incontrare chi? Una donna dai cinque mariti?
Improbabile l’ora! Perché la samaritana esce a quell’ora? Forse c’è da scavare nella magia di quell’ora? Forse perché a mezzogiorno lei non sarebbe stata sotto gli occhi di tutti? Il sole splendeva alto, e l’evangelista Giovanni lo annota. “Era circa mezzogiorno” (v. 6), il tempo del sole alto. Come a dire che, se Dio siede stanco al pozzo dove è attesa la donna samaritana, dove è atteso ciascuno di noi, un Dio sfinito per questo suo incontenibile inseguirci, se Dio è stanco per noi, allora puoi dire che il sole splende alto. Così come sarà mezzogiorno e il sole splenderà alto quando Pilato sederà nel tribunale, nel luogo detto Litostroto e Gesù sarà condannato a una morte infame, la morte di croce (cf. Gv 19,13-16). Se il Figlio di Dio, per amore di questa nostra umanità smarrita, si lascia condannare a una morte infame, allora è proprio vero che tutti noi siamo illuminati e che il sole splende alto.
“Affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo” (v. 6). Stanco della fatica di cercarci. Sì, siamo anche noi a cercarlo, ma il viaggio più lungo è il suo. Una fatica, questa della ricerca dell’uomo e della donna da parte di Dio, che inizia nei primi giorni della storia. I padri della chiesa dicono che dal giorno del grido: “Adamo, dove sei? Dove sei, uomo?”, Dio è stato in ricerca, una ricerca insonne che ha attraversato tutta la storia, finché ci ha trovati sulla croce …
Improbabile l’ora dell’incontro, ma improbabile anche la domanda di Gesù, come se la richiesta del bere sottintendesse qualcos’altro: “Come mai tu, che sei un giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?” (v. 9). Come se il chiedere l’acqua fosse un pretesto e l’intenzione fosse un’altra, come se nelle parole di Gesù si nascondesse una vera e propria avance: la donna ci era abituata, la sua femminilità conosceva questi passaggi sinuosi. Era forse l’inizio di un corteggiamento?
Vorrei indugiare sulla prima parola di Gesù alla donna: “Dammi da bere” (v. 6). L’indigente è Dio, l’indigente è Gesù: “Dammi da bere”. Tu, donna, tu, uomo, puoi dare qualcosa a Dio. A questo Dio assetato. Anche questo appartiene allo stile di Gesù. Appartiene al suo stile valorizzare qualcosa che è in te, qualcosa che è nelle tue mani. E se deve fare il miracolo del vino, chiede ai servi di portare l’acqua nelle giare (cf. Gv 2,7-8). Se deve moltiplicare il pane per i cinquemila, chiede al ragazzetto di portargli i suoi cinque pani d’orzo e i suoi due pesci (cf. Gv 6,8-11).
Questo è il modo di Dio di togliere le distanze: è Dio che mi chiede qualcosa, e non chiede chissà che cosa. È un sorso d’acqua, sono cinque pani e due pesci, è un piccolo passo. È la bellezza e la rivoluzione di Gesù. Che va a rivendicare l’importanza del pozzo che è scavato in ciascuno di noi. È come se dicesse alla donna samaritana: “C’è un’acqua nel tuo pozzo, scava nel tuo pozzo e sgorgherà”. Lui, il maestro, l’aiuta a scavare, a scavare dentro … Rompe le distanze: Gesù chiede l’acqua a una donna di un popolo eterodosso, a una donna che viene da una vita tumultuosa. C’è da incantarsi. È lo stile di Gesù. E ne restano sconcertati perfino i discepoli. Ma non solo quelli di ieri, anche quelli di oggi: se tu dici che ti rimane una stima anche per chi ha attraversato terre di smarrimento, che ti senti di chiedere qualcosa anche a chi non ha tutti i requisiti canonici, crei sconcerto. Ma questo è Gesù, è il suo stile, è il suo modo per dire che tu non sei un vaso vuoto, che la tua anfora non è senz’acqua.
A. Casati, Incontri con Gesù. Figure della sequela (2010).