La mostra di Jheronimus Bosch (1453-1516) al Palazzo Reale di Milano aiuta il visitatore a comprendere la natura di un altro Rinascimento, quello del nord Europa. In questo rinascimento parallelo e tangente a quello mediterraneo, l’immaginario è guidato da figurine guizzanti e fantasiose.
Davvero ben curate sono le sale in cui si possono comprendere le tangenze e le influenze tra diverse aree (nord Italia, Spagna e sud America); temi e rappresentazioni viaggiano da un continente all’altro, legando visioni del mondo.
Nella prima sala della mostra campeggiano due opere di Bosch: il trittico dei santi eremiti di Venezia e il trittico delle tentazioni di sant’Antonio di Lisbona. È su quest’ultimo che soffermiamo il nostro sguardo, leggendolo attraverso i testi dei padri del deserto, dei quali Antonio è il padre e l’esempio. È infatti chiamato il “padre dei monaci”.
Probabilmente Bosh è entrato in contatto con le Vitae Patrum risalenti al 1450 e molto diffuse nelle biblioteche ecclesiastiche. Da questo testo sicuramente prende ispirazione per narrare visivamente le tentazioni di Antonio.
Il trittico si compone in questo modo: a sinistra si trova il rapimento e il combattimento di Antonio con i demoni, al centro le tentazioni e a sinistra Antonio in preghiera.
Quello che ci narrano i Detti è che Antonio si ritira nel deserto, ma quello rappresentato da Bosch è un luogo affollatissimo, tutt’altro che deserto! Cosa stiamo vedendo? O meglio cosa vuole farci vedere Bosch? Stiamo osservando il deserto con gli occhi di Antonio: il deserto è affollato dai suoi pensieri, i loghismoi. In greco il termine loghismós, “pensiero”, spesso usato al plurale, indica ogni suggestione o immagine che sorge nel cuore: se a volte il suo significato è neutro, per lo più ha un significato negativo; si tratta dei “pensieri cattivi” ispirati dal diavolo, o meglio dai singoli “demoni”, che turbano la mente distraendola dal ricordo di Dio.
Un giorno il santo abba Antonio, mentre era seduto nel deserto, fu preso da una fitta tenebra di pensieri. E diceva a Dio: “Signore, voglio essere salvato, ma i pensieri non me lo permettono. Che cosa posso fare nella mia afflizione? Come posso essere salvato?”.
Così comincia uno dei detti attribuiti ad Antonio. Ecco la lotta che il monaco affronta e che Bosch rappresenta: i pensieri diventano figure fantasiose, perché frutto della fantasia, che popolano il silenzio e la solitudine del monaco Antonio.
Evagrio Pontico, che ha sistematizzato l’insegnamento dei padri del deserto, nel suo Trattato pratico, elenca “otto pensieri principali” all’origine di tutti gli altri: ingordigia (gastrimarghía), fornicazione (porneía), avarizia (philargyría), tristezza (lýpe), ira (orghé), acedia (akedía), vanagloria (kenodoxía) e orgoglio (hyperephanía). Questo elenco rimarrà costante nella tradizione spirituale successiva e, tramite Giovanni Cassiano, si trasmetterà anche in occidente, dove è all’origine della dottrina dei sette vizi capitali. Questi sono meravigliosamente rappresentati nella mostra da una serie di stampe di Pieter van der Heyden nella sezione dedicata alla stampa come mezzo di divulgazione.
Nel pannello centrale del nostro trittico è proprio Antonio che guarda l’osservatore, come a richiamarne lo sguardo, come a dirgli: non lasciarti distrarre da tutti i pensieri che vedi rappresentati. In questo Bosch ha davvero la maestria ci darci il senso dello straniamento e della distrazione: i nostri occhi non smettono di correre sulla tavola, richiamati dai tanti dettagli che si scoprono. Antonio benedice con la mano riproducendo il gesto del Cristo che è all’interno della cappella ricavata da una torre in rovina. Gesù guarda Antonio come a ricercarne lo sguardo, accanto a lui il Crocifisso che cita direttamente le ante del trittico in cui è rappresentata la passione di Cristo. Le ante erano visibili ogni qual volta il pannello restava chiuso in determinati periodi dell’anno.
Sarebbero innumerevoli i paralleli tra le rappresentazioni di Bosch in questo pannello e i Detti dei padri del deserto. Ne citiamo due.
La torre diroccata dove si trova la cappellina presenta un fregio che rappresenta in alto Mosè che sta ricevendo le tavole della legge con sotto il popolo che danza davanti al vitello d’oro. È il racconto dell’idolatria, che si trova anche nella fascia sottostante in cui alcuni uomini offrono animali a una scimmia su un piedistallo. La tentazione che grava su Antonio è questa: idolatrare qualcosa che non è il suo Dio. Nella fascia inferiore del fregio due uomini trasportano un gigantesco grappolo d’uva: sono i due esploratori della terra di Canaan narrati nel libro dei Numeri 13,23 (“Giunsero fino alla valle d’Escol, dove tagliarono un tralcio con un grappolo d’uva, che portarono in due con una stanga, e presero anche delle melagrane e dei fichi”). Questo immaginario della frutta sovradimensionata è una delle caratteristiche stilistiche di Bosch.
Il secondo esempio è proprio nel pannello centrale in basso a sinistra: da un enorme frutto rosso esce una figura che brandisce una spada: è il pensiero dell’ira, come lo narra anche Evagrio nel suo trattato.
Bosch, come grande rappresentante del Rinascimento, è un conoscitore della letteratura dei padri del deserto attraverso i testi che gli sono giunti nelle biblioteche degli Ordini presenti a Hertogenbosch (nei Paesi Bassi), la città dove è nato e vissuto. In molte delle rappresentazioni presenti alla mostra questi testi diventano immagini e racconti fantastici, uno sguardo diverso sulla vita nel deserto.
La mostra “Bosch e un altro Rinascimento” è a Milano, Palazzo Reale, fino al 12 marzo.