25/03/2023
La morte come sonno
Gesù, resurrezione e vita
Non c’è salvezza più desiderata che dalla morte, che dal venire sottratti a sé e agli altri. Gesù entra in questo modo di pensare e vi apporta una illuminazione.

25/03/2023
Non c’è salvezza più desiderata che dalla morte, che dal venire sottratti a sé e agli altri. Gesù entra in questo modo di pensare e vi apporta una illuminazione.
Il viandante attraversa il mondo e scruta l’orizzonte: verso dove? Vi è una meta ultima? Ha un nome? La meta ultima – sostiene una corrente di pensiero –, è la morte, essa è la fine, con essa si spegne definitivamente l’onda della vita. L’uomo è un essere per la morte, la finitudine lo costituisce, viene dal caso e approda al nulla; l’infinito nulla è il destino dell’uomo al di là del tempo e dello spazio. Una lezione diffusa di uscita da un’illusione. Altri, al contrario, sostengono che l’uomo è a un bivio, scommetta o sul Nulla o su Dio, aut aut, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe che è il Dio dei vivi e non dei morti. Scelga tra la sete di infinito senza acqua e la sete di infinito con acqua, e in quest’ultimo caso il viandante, camminando, guardi le stelle e non si guardi i piedi.
Infine non mancano gli ancorati al forse: la morte, fine di ogni vita? Forse. La morte confine tra l’aldiquà e l’aldilà, comunque lo si voglia rappresentare? Forse. La morte porta aperta al Nulla? Forse. La morte porta aperta a Dio? Forse ...
Non c’è salvezza più desiderata che dalla morte, che dal venire sottratti a sé e agli altri. Gesù entra in questo modo di pensare – la lettura della morte fisica come interruzione della vita, delle relazioni – e vi apporta una prima illuminazione: “Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo” (v. 11). Ove “addormentato” equivale a morto, “risveglio” a resurrezione dalla morte e “vado” alla presentazione di se stesso come colui che opera il passaggio (cf. vv. 14-15) ...
La lezione di Gesù è chiara: la morte da meta definitiva va convertita in sonno, ed egli ne è il risvegliatore con la potenza della sua parola creatrice. Questo i discepoli devono sapere e credere, e a questa fede sarà via il segno del ritorno in vita di Lazzaro: “Io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!” (v. 15). Se è così, perché angosciarsi, fare chiasso e piangere (cf. Mc 5,39)? Nella malattia-morte di Lazzaro, e in lui dei discepoli amati e di ogni creatura, verrà pubblicamente manifestata la gloria di Dio e di suo Figlio, la loro verità di amanti della vita, resurrezione a vita definitiva dei morti alla vita: “Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato” (v. 4). Questa la chiave di lettura dell’intero brano: l’Amante della vita, nell’“Io sono la resurrezione e la vita”, libera la morte da ogni sua pretesa di ultimatività ...
Il Gesù che converte la morte in sonno e il Gesù che si proclama resurrezione della vita eterna, ora manifesta tutta la sua forte tenerezza, tutta la sua fiducia nel Padre, tutto il suo essere per la vita dell’uomo ... Dinanzi a Lazzaro, amico morto da quattro giorni, e dinanzi al dolore delle sorelle e dei giudei presenti, Gesù reagisce con un fremito interiore, il commuoversi materno delle viscere, e con un senso di turbamento e sdegno nei confronti della morte. E in questa sua umanità capace di emozionarsi è Dio stesso a svelarsi come Dio che ha occhi per piangere dinanzi alla morte dell’uomo, di ogni uomo suo amico. Dio dov’è quando muore una creatura? È presente in maniera nascosta come pianto, partecipe al dolore: la presenza e il pianto di Cristo ne sono l’epifania storica ... Ama essere una presenza discreta che piange con chi piange e che ascolta il lamento di chi soffre elargendo forza.
Giancarlo Bruni, In compagnia di Giovanni. Meditazioni sul quarto vangelo (2021).