“Amare significa superarsi. Teresa di Lisieux. La guerriera mite che sconfisse sé stessa”.
È il titolo dell’appuntamento organizzato in occasione del 150° anniversario della nascita di Teresa di Lisieux, evento che avrà luogo giovedì 18 maggio alle ore 16:00-17:00, nella Sala Azzurra, PAD 3.
Insieme a Roberto Repole, vescovo di Torino, saranno presenti Carola Susani e Francesco Antonioli.
Gli eventi del Salone del libro proposti da UELCI (Unione editori librai cattolici italiani) e dall’Arcidiocesi di Torino desiderano far conoscere la testimonianza umana e cristiana di alcune figure, che hanno incarnato, ciascuno a proprio modo, il cammino proposto dal Vangelo.
Teresa di Lisieux è una di queste. Fece della lotta contro il proprio io, nelle piccole cose di ogni giorno, la traccia feconda del proprio cammino di fede.
Attraverso le pagine dei nostri libri...
Così come i Detti e fatti delle donne del deserto con la loro sapienza possono aiutarci ad approfondire la tematica che abbiamo scelto per voi, allo stesso modo Rowan Williams, nel suo libro Luci. Vite che illuminano il cammino cristiano, insieme a tanti altri testimoni, ci racconta la vita della filosofa Simone Weil con queste parole, dense e potenti.
Simone definì il suo ideale spirituale, presentandolo abitualmente con uno specifico termine francese, attente, che è difficile da tradurre, perché significa due cose: “attesa” e “attenzione”. Si tratta del genere di attesa sperimentata da chi si dedica all’osservazione degli uccelli: occorre stare molto fermi, rilassati e concentrati, tutto allo stesso tempo. Ci si aspetta qualcosa da un momento all’altro, ma non si spremono tutte le energie in una concentrazione talmente tesa da non accorgersi quando succede.
Il suo libro più conosciuto porta il titolo Attesa di Dio: l’essenza della preghiera comincia con l’attenzione, un’attenzione che attende; e questo comporta una sorta di disinteresse. Si mettono in secondo piano pensieri e ansie, ci si apre a ciò che c’è e si lascia che la propria mente venga plasmata da ciò che ci sta di fronte.
Questa è la sua idea principale e più importante, e quel che colpisce maggiormente dello sviluppo che ne fa è il fatto che l’aiuta a collegare esperienze che tutti noi in qualche modo condividiamo con l’esperienza di contemplare Dio. Invece di pensare: “Devo essere molto concentrato e puro e santo prima che possa contemplare Dio”, possiamo pensare:
“Sono di fatto pronto a ‘contemplare’ in qualche modo quando sto imparando a parlare l’italiano, a condurre un esperimento, persino a guidare una bicicletta. Già non mi è del tutto sconosciuta l’esperienza di mettere in attesa le preoccupazioni del mio ‘ego’ mentre rispondo alle richieste di ciò che è qui e ora, ciò che è semplicemente ‘non io’ e preme affinché io conformi la mia mente e la mia volontà alla sua realtà”.
Simone considera questo processo disinteressato del “dare tutto sé stesso” al proprio lavoro come il fondamento dell’unione con Dio, perché Dio stesso dà sempre sé stesso in maniera talmente disinteressata che potremmo quasi affermare che si annulla, così da poter far esistere il mondo. Sparisce dalla vista in modo che il mondo possa venire in vista. E questo dono in cui Dio si dà così completamente da annullare virtualmente sé stesso come donatore viene tradotto da Weil nell’idea che, in qualche modo, il nostro rapporto ideale con Dio è quando a nostra volta noi, in risposta a Dio che sparisce alla vista, “cancelliamo” noi stessi e ci allineiamo semplicemente con Dio. Per dirla con le sue parole, noi “de-creiamo” noi stessi.