Come far interagire quel che si trova scritto nei Vangeli con la concreta vita che si vive, i problemi personali, le domande di fede? Come arrivare a pregare la parola del Vangelo? Sì, il Vangelo è una parola di vita soprattutto oggi, il tempo in cui i cristiani sono chiamati ad andare all'essenziale e al cuore della loro fede.
Le sette, ultime, parole pronunciate da Gesù prima di morire sono il sigillo di tutta la sua vita; quella vita umana, concreta, quotidiana in cui fino alla fine e fino all’estremo Gesù ha amato i suoi discepoli. Esse ci testimoniano come Gesù ha affrontato la morte conservando la fede in Dio suo Padre, e ha saputo fare della sua morte un atto puntuale, l’atto di rendere a Dio il dono della vita da lui ricevuto.
La ricerca del volto di Dio è il caso serio di ogni credente. Ma il volto non connota soltanto Dio e la sua ricerca: il volto è anche metafora dell’uomo nella sua più alta espressione. Si dice comunemente che l’uomo “ha un volto”, ma sarebbe più giusto dire che l’uomo “è un volto”. Il volto infatti - come del resto il Nome - concerne l’identità della persona, la definisce, la rivela, la mette in relazione.
Quali criteri guidano il discernimento spirituale? Come possiamo esercitare il discernimento a livello personale e comunitario?
La capacità di discernimento, di scelta, è propria di ogni uomo, ma il discernimento spirituale è un’operazione che ha come protagonista lo Spirito; è un dono dello Spirito di Dio che si unisce al nostro spirito, e come tale va desiderato e invocato dal cristiano.
Come lo Spirito santo ha agito nella vita di Gesù? In che modo è stata la sua forza, “il suo compagno inseparabile”?
Meditando sull’azione dello Spirito nella vita terrena di Gesù di Nazaret, possiamo arrivare a cogliere come egli sia il Signore di ciascuno di noi, dunque come lo Spirito che ha guidato lui possa guidare, rafforzare, consolare anche noi, qui e ora, nel quotidiano delle nostre esistenze.
La bellezza è essenzialmente “simbolo”, cioè una dimensione in cui confluisce e si compone il sensibile – ciò che è materiale, che ha a che fare con i sensi, il proprio Io – e il sovrasensibile – un’eccedenza di significato, un’ulteriorità di senso, un rimando a qualcos’altro.
Fin dalle prime pagine di Genesi emerge un "contrappunto" tra il progetto di Dio, sotto il segno della benedizione e dell'alleanza, e il progetto che l'uomo ha voluto costruire. Sotto l'albero della conoscenza del bene e del male entra in gioco la libertà insita in ogni relazione, così come il serpente, simbolo del principio del male, ma soprattutto di un "altro Dio", della tentazione di farsi da sé una morale, decidere da sé cosa è bene e cosa è male.
Come parlare dello Spirito senza imprigionarlo nelle nostre povere parole?
Gesù ha detto di lui: “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va” (Gv 3,8);
dello Spirito dunque il cristiano può fare esperienza, ma se tenta di parlarne, le parole vengono meno.
Tuttavia è necessario riconoscerlo in ciascuno di noi, nella chiesa, nell’umanità, nella storia, perché è lui lo Spirito creatore.
La vita interiore ha a che fare con la costruzione quotidiana delle nostre vite, che altrimenti rischiano di scorrere via senza consapevolezza e lucidità. È una dimensione che apre una via, sollecita la ricerca, riguarda quella conoscenza di sé che ha una ricaduta nel rapporto con l’altro. La vita interiore richiede capacità di fare silenzio, di abitare la solitudine.
La nascita all’interiorità è nascita alla libertà.
Attraverso la domanda del Padre nostro: “Venga il tuo Regno” (Mt 6,10), chiediamo che il regno di Dio si manifesti e raggiunga il suo compimento. Il regno di Dio è già presente nella nostra storia, ma in modo ancora incompiuto, come un seme.
Il cristiano, come pellegrino in cammino verso un cielo nuovo e una terra nuova, coltiva in sé questo desiderio del Regno: è dono che investe la nostra responsabilità di accoglierlo nella vita quotidiana.
Quali le sfide i giovani oggi sono chiamati a vivere?
Le precarie condizioni lavorative ed economiche e il venire meno della consapevolezza di appartenere a una collettività rendono più complessa la regolamentazione dei passaggi di status degli individui nella società. Le giovani generazioni corrono il rischio di venire assorbite da un lato dall’eterna adolescenza, oppure dall’altro dall’invecchiamento della popolazione che sta aumentando.
L’essenziale della fede va colto in un cammino di riforma, personale e comunitario, frutto del discernimento evangelico.
A partire dai vangeli e dalla prassi umana di Gesù si tratta di discernere ciò che è essenziale e ciò che è caduco. Si tratta di semplificare alla luce del vangelo, che pone come esigenza centrale il primato dell’amore per il prossimo; amore che ha in sé una dimensione di responsabilità storica, politica, ecologica.
Nell’Evangelii gaudium, “La gioia del Vangelo”, papa Francesco auspica per la chiesa una “conversione pastorale” che significa: “uscire”, per andare verso gli altri, raggiungerli là dove sono, senza giudicare le loro qualità di fede o morali; non voler stare al centro o al di sopra degli altri, ma chinarsi umilmente ai loro piedi per lavarli, averne cura, servirli.
La parola della croce ci raggiunge attraverso le parole che Gesù ha detto dalla croce. Le sue non sono le parole ultime di un morente, ma le parole penultime di un vivente, di colui che è il crocifisso risorto.
Sono parole risorte con Cristo, che risuonano ancora sulle labbra di affamati e assetati, di stranieri, poveri e malati, di ultimi tra i dimenticati. Sono “vive” perché in un momento della nostra vita sono state le nostre o saranno le nostre.
La vita interiore è una dimensione che appartiene a ogni essere umano, ma oggi non appare come una delle urgenze della vita cristiana. La vita spirituale del cristiano non è oltre la vita umana, quasi fosse un gradino sopra, ma si trova al cuore di un'autentica umanità. La vita spirituale cristiana è "respirare lo Spirito santo", è vivere la vita di Gesù Cristo, è risposta adorante alla parola di Dio contenuta nelle Scritture.
Lo Spirito, come seme portato dal vento, è presente in tutto ciò che facciamo, pensiamo, viviamo nell’amore; è sempre all’opera, anche se così di rado noi siamo consapevoli della sua azione in noi. La via maestra per accostare le epifanie dello Spirito santo consiste nell’esplorare le tracce lasciate dallo Spirito nella Scrittura.
Attraverso una lettura trasversale della Bibbia, nelle vicende umanissime dei personaggi biblici, si può riconoscere una forma di patriarcato biblico e di famiglia in cui il padre ha il diritto di usare potere sui figli.
Accanto a questo però il canone biblico ci propone una riflessione critica sulla paternità.
Con la figura di Giuseppe, di Maria e soprattutto del figlio Gesù, una nuova immagine di famiglia viene svelata.
Perché interrogarci sul quotidiano?
Tutto avviene nel quotidiano, vi siamo immersi, ma proprio per questo rischiamo di non averne piena coscienza. Il quotidiano è il luogo in cui ci costruiamo come persone e realizziamo la nostra umanità. Il quotidiano interpella anche la nostra fede e il nostro vivere il vangelo, che Gesù ha fatto della sua osservazione del quotidiano la base del suo insegnamento teologico e dell’annuncio del regno di Dio.
Gesù Cristo è l’Emmanuele, il Dio è con noi. Nella debolezza, nel peccato, nella precarietà, in quel poco di bene che riusciamo fare; nelle vicissitudini più eccelse e nelle vergogne.
È l’annuncio di speranza che apre e chiude il Vangelo secondo Matteo, di cui l’autore approfondisce i temi peculiari attraverso la lettura di alcuni brani scelti. Un cammino sulle orme di Gesù, rabbi inserito nella sua cultura e attento conoscitore della Torah.
I salmi sono il respiro dei nostri sensi e dei nostri sentimenti.
Il tesoro dei salmi attende di essere riscoperto, con la sapienza dei rabbini, dei padri della chiesa e della liturgia cristiana. È un tesoro che Gesù conosceva, meditava, pregava e amava: attraverso le sue parole, i suoi gesti e i suoi incontri oggi possiamo riscoprire i salmi, che alla luce del Vangelo ci guidano sulla via della vita.
Sia il libro di Rut che quello di Giona sono racconti popolari, le cui origini si trovano nella cultura del popolo di Dio che si manifesta in canti e drammatizzazioni. Sono grandi parabole di sottile ironia.
Pur non essendo stati scritti da un profeta, il loro messaggio ha la forza di una profezia popolare, che denuncia quello che è sbagliato, e invita il popolo a una conversione moto seria e profonda.